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P.S. Nel thread "Anno bisestile" su it.scienza.matematica (di cui parlavo
nel primo post), E. F. ha scritto un post interessantissimo ed ha detto
anche che, nel 1923, le chiese ortodosse hanno elaborato una variante
ancora piu' precisa del calendario gregoriano.
Invio anche in questo thread lo stesso messaggio che ho da poco inviato nel
thread "Anno bisestile" su it.scienza.matematica.
E' un po' lungo: l'invormazione specifica riguardante il "funzionamento"
della variante piu' precisa rispetto al calendario gregoriano, inteso come
regola che stabilisce quali anni secolari debbano essere bisestili, si trova
dopo la nota 8 (posta tra parentesi quadre).
[.....]
Gia' successo: nel 1923 il congresso delle Chiese ortodosse
(Costantinopoli) stabili' una variante del calendario gregoriano, che
e' ancora piu' precisa.
Non ricordo i dettagli, ma mi pare che per i prossimi secoli non ci
saranno differenze.
Mi piacerebbe sapere qualcosa di piu' su questa variante piu' precisa del
calendario gregoriano elaborata dagli ortodossi. Potresti darmi qualche
riferimento (siti Internet) ecc?
Ecco cosa ho trovato sull'argomento:
da http://www.geocities.com/serban_marin/evola2002.html
Alcuni echi alla riforma del calendario ecclesiastico nella pubblicistica
ecclesiastica ortodossa e unita:
di Laura Evola, Università di Pisa
Il 2 febbraio 1923 il patriarca ecumenico di Costantinopoli Meletios IV
invitò le chiese di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Serbia, Grecia,
Cipro e Romania a riunirsi per affrontare e discutere su alcuni temi di
grande attualità e importanza per la Chiesa ortodossa come la riforma del
calendario ecclesiastico, la questione dell'accesso all'episcopato anche del
clero secolare e del secondo matrimonio di preti e diaconi vedovi, la
convocazione di un concilio ecumenico o meglio un sinodo di tutte le Chiese
ortodosse ecc.
L'iniziativa affondava le sue radici profonde nell'orientamento innovatore
ed ecumenico di Meletios e nella condizione di debolezza politica e
religiosa in cui si era venuto a trovare il patriarcato ecumenico di
Costantinopoli dopo la dissoluzione dell'impero ottomano e la lotta
nazionalista di Mustafà Kemal Atatürk. Durante la prima guerra mondiale
Maometto V (vicino al movimento dei «giovani turchi») lanciò il Jihad contro
gli infedeli che combattevano contro il califfo: si trattava di un proclama
volto a coinvolgere la popolazione turca e curda nella lotta per la
creazione di uno stato nazionale, e in particolare contro la minoranza
armena (residente nella zona sudorientale della penisola anatolica
costituendo un elemento di discontinuità nazionale e che qualche anno prima
si era alleata ai russi per contrastare proprio il movimento nazionalista
turco) [nota 1: Cfr. A. Riccardi, Il secolo del martirio, Milano, 2000: 270
ss. ]. Questa politica, unita a quelle delle deportazioni di massa causò la
morte di due milione di armeni [nota 2: Cfr. la voce armeni in AA. VV.,
Dizionario di storia, Milano, 1995.]. Tuttavia, quasi tutte le popolazioni
cristiane, soprattutto le cristiano orientali, come i siri, i caldei, gli
assiri e naturalmente i greci furono vittime di massacri. Solo a
Costantinopoli nel 1915 vennero uccisi, nei cosiddetti «massacri bianchi»,
diecimila armeni e cinque mila greci, mentre altri duecentocinquanta mila
furono cacciati dalle proprie case [nota 3: Cfr. V. Martano, Athenagoras, il
Patriarca (1886-1972), Bologna, 1996: 53.]. Il trattato di Sèvres del 10
agosto 1920 sancì la riduzione dell'impero ottomano alla sola penisola
anatolica, decretandone la fine come entità multinazionale e multireligiosa.
Prima nell'Ottocento la proclamazione dell'indipendenza politica
ed ecclesiastica da parte di Serbia, Grecia, Romania, Bulgaria,
determinarono un drastico ridimensionamento dell'organismo ecclesiastico
facente capo alla grande Chiesa e impose une ridefinizione dell'autorità
istituzionale del patriarca che in età ottomana era stato il vertice
dell'intero Millet-i-Rum. Ora la dissoluzione dell'impero e la tragica
diminuizione della popolazione greca durante la guerra. A tale proposito il
professor Roberto Morozzo della Rocca nota:
"Non meno del Papa di Roma, il Patriarca di Costantinopoli ha inteso il suo
magistero non solo «orbi» ma «urbi et orbi», poiché nella cristianità
l'autorevolezza di una sede episcopale è storicamente connessa ad una realtà
locale, sia pure suscettibile di modificazioni nella storia. E' difficile
per un vescovo senza popolo esercitare un ruolo universale. Per il
Patriarcato Ecumenico la doppia crisi del distacco delle Chiese ortodosse
balcaniche e, poi, dell'esodo greco dalla Turchia, ha significato - al di là
di effimere ipotesi di trasferimento da Istambul, magari in Salonicco o sul
Monte Athos o a Rodi o a Patmos - un ripensamento radicale del suo ruolo e
del suo spazio nell'orizzonte ortodosso. Questo ripensamento è tutt'ora in
corso"[nota 4: R. Morozzo della Rocca, Le Chiese ortodosse, Roma, 1997:
39-40].
Il trattato di Sèvres impose al nuovo Stato turco la smilitarizzazione degli
stretti, ponendoli sotto il controllo di una commissione internazionale, e
assegnò Smirne alla Grecia per almeno cinque anni (dopo si sarebbe svolto un
referendum che avrebbe deciso in modo definitivo lo Stato di appartenenza
della città). Dopo lo sbarco dei greci nella città e quello dei francesi e
degli italiani nelle proprie zone di influenza, Kemal riorganizzò
l'esercito, mobilitò tutte le forze nazionaliste e mosse contro gli
occupanti greci dalle zone orientali del Paese. Arrivato ad Ankara convocò
un'assemblea nazionale che rifiutò di ratificare il trattato. Si apriva così
una nuova situazione di conflitto e incertezza politica, che vide il
movimento di Atatürk contrapposto agli eserciti alleati e a quello
greco [nota 5: Cfr. E. Di Nolfo, Storia delle reazioni internazionali
1919-1992, Bari, 1996: 76-83.]. Il conflitto oltre a ridurre ulteriormente
la popolazione ellenica, acuì la condizione di precarietà del patriarcato,
che ormai era quasi esclusivamente espressione di questa popolazione. In
questa difficile situazione venne inserendosi lo specifico problema
dell'elezione patriarcale, dopo l'abbandono del trono ecumenico da parte di
Germanos V il 12 ottobre 1918. Infatti le autorità turche e greche avevano
deciso di subordinare le elezioni del successore alla risoluzione del
conflitto greco-turco, e soprattutto alla stesura di un nuovo regolamento
nella speranza di poter incidere nelle decisioni sinodali. Il patriarcato
privo di un rappresentante legale alla Sublime Porta, risentiva fortemente
dell'instabilità politica della Grecia, dovuta al contrasto tra la monarchia
filotedesca e il partito venezelista filobritannico, contrasto riflessosi
anche all'interno del Sinodo.
Dorotheos (nominato locum tenens dopo le dimissioni di Germanos V) si
adoperò, per rompere l'isolamento della sede ecumenica e trasformarla in un
punto di riferimento internazionale: aprì le relazioni con la Chiesa di
Svezia, nel gennaio del 1920 fece redigere al Sinodo un'enciclica rivolta
Alle Chiese di Cristo, ovunque nel mondo, che proponeva una alleanza
mondiale tra le varie confessioni, come espressione di una solidarietà
sovranazionale per tutti quei credenti non più garantiti da un assetto
sociale certo. Nella stessa città di Costantinopoli si moltiplicarono gli
sforzi per un riavvicinamento di tutti i cristiani; particolarmente intensi
furono i contatti con gli anglicani già precedentemente avviati. Queste
iniziative rafforzarono l'idea della convocazione di un concilio. Alla morte
di Doretheos avvenuta nell'aprile 1921 il nuovo locum tenens, Nikolaos di
Cesarea, appartenente alla corrente venezelista del Sinodo, chiese
ripetutamente l'appoggio del governo britannico per l'elezione del
patriarca, facendo rilevare che senza di esso non sarebbe stato possibile
continuare il cammino di dialogo tra le Chiese [nota 6: Cfr. Martano,
Athenagoras: 57.]. Il 25 novembre 1921, il progetto si realizzò e Meletios
Metaxakis (in quel momento capo della Chiesa ortodossa greca delle Americhe,
già arcivescovo di Atene durante il regime di Venizelos e filobritannico)
venne eletto Patriarca, grazie alla corrente venezelista del Sinodo e al
diretto supporto delle autorità del Regno unito. Fu intronizzato il 6
febbraio 1922 con il nome di Meletios IV. Si trattava di un uomo formatosi
nella realtà unitaria dell'ellenismo ortodosso come dimostra anche la sua
biografia: aveva studiato nel Collegio della Santa Croce a Gerusalemme, dove
aveva svolto anche il compito di segretario del patriarca, aveva esercitato
il diaconato Dyarbakir in Anatolia, infine era stato eletto metropolita a
Kition, nell'isola di Cipro, e arcivescovo ad Atene, da dove successivamente
partì per gli Stati Uniti, per presiedere l'arcidiocesi per il Nord e il Sud
America da lui stesso fondata. Durante il suo arcivescovato ateniese aveva
moltiplicato i suoi contatti con i rappresentanti delle altre confessioni
cristiane: si recò a Parigi dove incontrò molte personalità cattoliche tra
cui l'arcivescovo della città, il cardinale Amette, visitò Londra e gli
Stati Uniti dove prese contatti con le locali Chiese di tradizione
anglicana. Inoltre Meletios era personalmente amico del vescovo anglicano di
Gibilterra e partecipò attivamente alle iniziative orientate al
riconoscimento da parte ortodossa delle ordinazioni ecclesiastiche celebrate
nella Chiesa di Gibilterra e nella comunità anglicana [nota 7: Cfr. B.
Stavridis, "Histoire du patriarcat oecuménique", Istina (1970): 148-149,
apud Martano, Athenagoras: 46.].
Un'altra delle preoccupazioni di Meletios fu quella di conciliare Ortodossia
e modernità per permettere lo sviluppo della vita religiosa nella società
greca in rapida trasformazione. Attuò, quindi, una serie di riforme
riguardanti la disciplina dei digiuni, rendendola meno severa per
facilitarne la pratica da parte del popolo, vietò ai preti di portare i
capelli lunghi e introdusse la musica polifonica nella liturgia.
Considerando la sensibilità ecumenica e il desiderio di avvicinamento delle
pratiche e delle regole ecclesiastiche alle necessità della vita e alle
abitudini del tempo, Meletios non potette ignorare l'urgenza di una riforma
del calendario ecclesiastico. Dopo la guerra infatti i Regni di Romania e
Grecia analogalmente al Regno dei serbi-croati-sloveni, avevano adottato
come calendario civile e della pubblica amministrazione il calendario
gregoriano (che differiva da quello giuliano, usato dalla Chiesa ortodossa,
di 13 giorni), creando non pochi problemi amministrativi e sociali.
Per far fronte a questa situazione il Patriarca, come più sopra s'è
ricordato, decise di convocare una conferenza delle Chiese autocefale
interessate. La conferenza si aprì giovedì 10 maggio sotto la presidenza del
Patriarca ecumenico e alla presenza del metropolita Callikos di Cirico, del
professor Antoniadis di Costantinopoli, del metropolita Basilie di Nicea per
Cipro, del metropolita del Montenegro Gavriil e del professor Milankovic per
la Serbia, del metropolita di Durazzo Iacov per la Grecia, che trovandosi
in conflitto con la Turchia non aveva potuto mandare un proprio diretto
rappresentante, l'archimandrita Scriban per la Romania, l'arcivescovo
Alexander della Chiesa russa del Nord-America che non aveva però alcun
incarico come il metropolita Anastasie di Chisinau, membro anch'egli della
Chiesa russa all'estero.
"La conferenza si chiuse l'8 giugno dopo aver assunto delle delibere
significative, come la convocazione di un concilio ecumenico, la stesura di
un messaggio di solidarietà al Patriarca di Mosca Tikhon che era stato
imprigionato dalle autorità sovietiche, una nuova disciplina riguardante i
matrimoni e l'età per le ordinazioni del clero, la celebrazione del 1600°
anniversario del concilio di Nicea e naturalmente la riforma del calendario
ecclesiastico."
Le Chiese, proprio durante il concilio del 325, avevano adottato come base
del loro calendario la periodizzazione giuliana, che calcolava la durata
media di un anno in 365 giorni e 6 ore, mentre l'anno solare è di 365 gg. 5
ore 48 minuti e 46 secondi: la differenza di 11'e 14"comportava il divario
di un giorno ogni 128 anni, e nel 1923 tale divario era divenuto di 13 gg.
Nel 1582, per correggere l'errore, papa Gregorio XIII aveva deciso una
riforma del calendario di valore universale; di fatto fu adottato dagli
Stati cattolici, cui progressivamente si associarono quelli protestanti. Il
computo gregoriano fissò un anno normale di 365gg. ed uno bisestile ogni
quattro anni. Gli anni secolari sarebbero stati di 365 gg., ad eccezione di
quelli che hanno le prime due cifre divisibili per quattro, che sarebbero
divenuti bisestili. Con questo metodo si ottenne un errore dall'anno solare
di 26" e 0,2 [nota 8: Cfr. V. Macaveu, "Chestiunea calendarului",,Cultura
Crestina: 217-229.].
Dopo aver esaminato i vari progetti di riforma presentati, i rappresentanti
delle Chiese convenute alla conferenza decisero di adottare il progetto
presentato dalla delegazione serba (studiato e realizzato dal professor
Milankovitc). Pertanto, deliberarono di eliminare i 13 gg. di ritardo del
calendario giuliano rispetto all'anno solare, considerando il 1° ottobre
1923 come il 14 dello stesso mese e lasciare immutato il sistema della
divisione in mesi e la loro durata. Si stabilì, inoltre, che gli anni
normali sarebbero stati di 365 gg. e quelli divisibili per quattro sarebbero
divenuti bisestili. Gli anni secolari avrebbero seguito una regola
particolare: quelli che divisi per 9 avessero dato un resto di 2 o di 6
sarebbero stati di 366 gg., mentre gli altri sarebbero rimasti di 365 (per
esempio sarebbero stati bisestili: il 2000, il 2400, il 2900, il 3300). Con
questo metodo la durata media dell'anno risultava 365 giorni, 5 ore, 48
minuti e 48 secondi, riducendo lo sfasamento dal ciclo solare rispetto al
calcolo gregoriano.
Le feste con data fissa sarebbero rimaste immutate. La domenica pasquale
sarebbe stata quella che segue il plenilunio successivo all'equinozio di
primavera. Considerando che, secondo il vecchio calendario ortodosso il
calcolo della data della luna piena era inesatto (per 5 giorni di ritardo),
venne stabilito che per il futuro questa data sarebbe stata determinata
dalla mezzanotte della prima opposizione dopo l'equinozio di primavera della
luna piena, avendo come riferimento il meridiano di Gerusalemme. Nel caso in
cui il plenilunio si fosse verificato di domenica il festeggiamento della
Pasqua sarebbe stato posticipato di una settimana per non coincidere con la
Pasqua ebraica. Secondo le disposizione del concilio di Nicea, la Pasqua
doveva essere fissata entro 34 gg. dall'equinozio di primavera e la
conferenza decise di iniziare a contarli dal momento in cui il sole si fosse
trovato sopra il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Infine fu deciso che il
patriarca si sarebbe occupato di far compilare agli osservatori astronomici
o alle cattedre di meccanica celeste delle università di Atene, Belgrado,
Bucarest, e Pietrogrado le nuove tabelle pasquali e di comunicarle
successivamente a tutte le altre Chiese [nota 9: Cfr. Arhim. Scriban,
"Conferenta interortodoxa din Costantinopol", Biserica Ortodoxa Româna" 41
(1923), 9: 662-663.]. Il progetto non si realizzò e la domenica pasquale
continua ad essere fissata attraverso il computo basato sul calendario
giuliano.
In Romania, la Chiesa ortodossa adottò formalmente il nuovo calendario
durante la seduta autunnale del S. Sinodo, correggendo il ritardo, cambiando
il 1 ottobre 1924 nel 14 ottobre dello stesso anno. La Chiesa unita decise
di adeguarsi alla riforma e decretando l'adozione del nuovo calendario nella
riunione episcopale del 25 luglio 1923, cui il 30 novembre 1923 la
Congregazione per le Chiese Orientali dette la sua approvazione.
Dopo la Prima guerra mondiale il nuovo Stato romeno, attraverso un decreto
legge, aveva adottato il calendario gregoriano (che tra l'altro in
Transilvania e in Bucovina era già stato utilizzato dall'amministrazione
imperiale) e aveva soppresso i tredici giorni di differenza che
intercorrevano tra i due calendari, cambiando il 1 aprile 1919 nel 14 aprile
dello stesso anno.
Questa decisione aveva acuito il bisogno, già vivo, di una riforma del
calendario ecclesiastico sia nella Chiesa ortodossa, che in quella unita. Le
difficoltà causate dall'errore di calcolo del calendario giuliano, i
cambiamenti sociali creati dalla nascita della Grande Romania e
dall'introduzione
del calendario gregoriano ad uso civile erano tali, da essere riconosciuti e
considerati negli stessi termini sia dalla Chiesa ortodossa che da quella
unita, come dimostra il dibattito che si sviluppò negli anni 1923-1925, in
occasione della conferenza di Costantinopoli.
"Cultura Crestina" (rivista mensile unita di Blaj) e "Biserica Ortodoxa
Româna"(rivista del Santo Sinodo di Bucarest edita anch'essa mensilmente)
riportano i numerosi problemi causati dalla sfasatura di tredici giorni
dall'anno
solare: Scriban ("Biserica Ortodoxa Româna") e V. Macaveiu ("Cultura
Crestina") parlarono, per esempio, della difficoltà di rispettare il termine
di 34 giorni dall'equinozio di primavera entro cui festeggiare la Pasqua.
L'equinozio
di primavera era (ed è) un evento astronomico, che secondo l'anno solare
cade il 21 marzo, che corrispondeva, in quel momento, all'8 marzo del
calendario giuliano. La Chiesa ortodossa iniziava a calcolare il tempo del
periodo in cui avrebbe dovuto cadere la Pasqua non dall'8 di marzo, ma dal
21 giuliano, con la conseguenza che la data di pasquale era, spesso, fissata
oltre il limite previsto dal Concilio, che aveva deciso come data di inizio
di questo periodo il giorno dell'effettivo equinozio.
L'uso di due calendari diversi nella Chiesa e nello Stato, in un Paese in
cui vivevano forti minoranze cattoliche e protestanti, poneva problemi di
ordine sociale, economico e religioso nell'organizzazione del lavoro.
"Cultura Crestina" del settembre 1923 segnalò che nei territori recentemente
annessi al Regno, molti romeni erano impiegati in aziende di persone di
un'altra confessione (il ceto borghese transilvano era soprattutto di
origine tedesca e ungherese), che chiudevano gli esercizi secondo le
festività religiose del loro calendario, ponendo ai lavoratori orientali un
grave dilemma: rispettare le posticipate festività ortodosse, incorrendo in
danni economici, oppure lavorare senza rispettare il precetto. Questa
situazione causava un indebolimento del sentimento religioso e problemi
economici per il Paese. Simedrea in "Biserica Ortodoxa Româna" registrò un
problema analogo: i lavoratori in Transilvania avevano, spesso, due turni di
riposo diversi, secondo la confessione professata. In alcuni casi, invece,
si fermavano durante le feste sia degli uni che degli altri. Anche
Romer-Anselm, esperto delle questioni di calendario [nota 10: Cfr. I.
Remer-Anselm nel 1919 a Bucarest pubblicò Despre Calendarele crestine si
unificarea lor. La cui recensione si trova in Arhim. Scriban, "Românii cari
au scris despre calendar", Biserica Ortodoxa Româna 42 (1924), 9: 524-529.],
parlò di questo problema, mettendo in evidenza anche quello del Parlamento,
che in occasione del Natale e della Pasqua rimaneva chiuso un mese, anziché
due settimane, come avveniva prima della guerra.
Questa presenza delle minoranze faceva inoltre sentire alla Chiesa ortodossa
e a quella greco-cattolica, entrambe profondamente nazionaliste, la
necessità di rafforzare l'unità del Paese. Tale preoccupazione contribuì ad
accrescere il desiderio di una riforma calendaristica. Remer-Anselm, in un
articolo di "Crucea" [nota 11: Cfr. Arhim Scriban, "Românii care au scris
despre calendar", Biserica Ortodoxa Româna: 524-529.], affermò che in uno
Stato, avere due calendari e le festività in due date diverse accentuava la
mancanza di unità. E il Dr. Macaveiu gli fece eco scrivendo: "L'isolamento
dalle altre religioni o culti, attraverso il mantenimento del calendario
giuliano - come un mezzo per il mantenimento e la difesa, in passato, della
nazionalità e della religione nostre - non ha più nessuno scopo! Al
contrario! Noi abbiamo, oggi, tutto l'interesse, adottando il calendario
gregoriano, a far sparire una barriera di divisione, aprendo la porta
d'entrata
nel seno della Chiesa e del popolo a coloro che la differenza calendaristica
ancora frenasse da questo passo" [nota 12: : "Izolarea de catra alte popoare
ori culte religioase, prin mentinerea Calendarului Iulian - ca un mijloc de
conservare si aparare, în trecut, a nationalitatii si religiei noastre - nu
mai are nici un rost! Din potriva! Noi avem astazi tot interesul ca,
adoptând Calendarul Gregorian, sa facem sa dispara o bariera de despartire,
deschizând poarta de intrare în sinul bisericii si neamului, acelora, pe
cari deosebirea calendaristica i-ar mai retinea dela acest pas.", V.
MACAVEU, "Chestiunea calendarului", Cultura Crestina 12 (1923), 9: 223.].
La riforma del calendario venne considerata, da alcuni, un mezzo per ridurre
le differenze tra le varie confessioni cristiane. Al sinodo della Chiesa
ortodossa di novembre, il vescovo Vartolomei di Râmnic lesse il suo rapporto
sulla Conferenza di Costantinopoli. Vi erano menzionate tutte le motivazioni
che avevano portato alla riforma e tra di esse c'era anche quello di
avvicinare i credenti delle diverse confessioni, che con il nuovo calendario
avrebbero potuto festeggiare alcune feste nello stesso giorno. Con
orientamento analogo "Unirea" (foglio settimanale di informazione
ecclesiastica e politica greco-cattolico) riportò che, con la decisione di
adeguarsi alle decisioni della Conferenza, gli uniti auspicavano che il
nuovo calendario aiutasse l'avvicinamento delle Chiese.
Addirittura l'ortodosso Scriban, lodando la riforma, affermò che i lavori
avrebbero dovuto continuare, per far sì che tutti i cristiani potessero, un
giorno, festeggiare la Pasqua e le altre ricorrenze nella stessa data.
Come s'è detto il nuovo calendario è molto simile al gregoriano pur non
identificandosi con esso.
La somiglianza fece nascere un equivoco e la conseguente polemica: secondo
alcuni le Chiese ortodosse, che avevano partecipato alla conferenza del
maggio 1923, di fatto avevano adottato il calendario gregoriano.
"Unirea", in articolo del 13 settembre 1924, parlando della decisione della
Chiesa unita di cambiare anch'essa il calendario, scrisse che nella riunione
del 25 maggio i greco-cattolici avevano adottato il nuovo calendario,
"ovvero quello gregoriano". Purtroppo non si trattò di un errore, ma di una
evidente differenza di opinione. Infatti nel numero di settembre 1923 di
"Biserica Ortodoxa Româna" venne pubblicata in toni piuttosto pesanti la
replica a un precedente articolo di "Unirea" sul tema:
"Essa [Unirea] dice che, al contrario, abbiamo sostanzialmente recepito la
riforma cattolica, perché la correzione che abbiamo elaborato noi, di fatto,
ha una differenza dal calendario gregoriano che si incontra solo una volta
in 36000 anni. [.] Solo quelli di Unirea hanno menti illuminate, mentre noi
poveri ortodossi, che abbiamo loro portato la nostra luce dopo la caduta di
Costantinopoli, noi siamo degli stupidi e non possiamo misurarci con i dotti
di Unirea. In realtà come è il fatto? La differenza tra gli anni bisestili
si osserverà, tra i due calendari, solo dopo 877 e non dopo 36000. Quindi
perché mente Unirea? Ma non è questa l'unica differenza. Io ne ho citata
solo una, per mostrare che c'è una differenza. Un'altra diversità, che si
vede con immediatezza è quella per il festeggiamento della Pasqua, la quale
cade molte volte in altre date rispetto al calendario gregoriano" [nota
13: "Ea spune ca, dimpotriva, în fond am primit reforma catolica, pentruca
îndreptarea pe care am facut-o noi de fapt are o deosebire de calendarul
gregorian care se întâmpla numai la 36000 de ani odata. [.]. Numai cei dela
Unirea au capete luminate, pe când noi, bietii ortodocsi, care le-am dus
lumina noastra dupa caderea Constantinopolului, noi suntem niste prosti care
nu ne putem masura cu învatatii Unirii. În realitate, cum e faptul?
Deosebirea între anii bisecti se va observa între amândoua calendarele numai
877 de ani, nu dupa 36000 de ani. Deci de ce mint domnii dela Unirea? Dar nu
e aceasta singura deosebire. Eu am pomenit numai de una, pentru arata ca
este o deosebire. Dar aceia nu e singura. Tot deosebire, si care se vede mai
curând, e acea pentru serbarea Pastelui, care se tine de multe ori la alte
dati decât în calendarul gregorian.", F. Scriban, "Grosolaniile «Unirii» din
Blaj", Biserica Ortodoxa Româna" 41 (1923), 12: 949.].
Nel rapporto, presentato alla riunione dei vescovi uniti del 25 luglio del
'23,
la questione venne formulata in questi termini: adottare il calendario
gregoriano del 1582 o con le piccole modifiche proposte alla conferenza di
Costantinopoli? Nello stesso rapporto si contestò, anche, l'utilità di
introdurre una nuova regola per il ciclo degli anni secolari, perché poco
pratica e che comunque non avrebbe eliminato del tutto la differenza tra
l'anno
tropico e quello ecclesiastico, mentre l'errore del calendario gregoriano
comportava solo un ritardo di un giorno ogni 3200 anni, ovvero nell'anno
4000, che per questo motivo, eccezionalmente, non sarebbe stato bisestile.
Quindi facilmente correggibile, inoltre:
"Un piccolo confronto tra queste due formule, qui ricordate, dimostra, che
la formula proposta a Costantinopoli non risolve il problema della
differenza meglio della formula del Pontefice Gregorio XIII."[nota 14: "O
mica comparatie între aceste doua formule, amintite aci, dovedeste, ca
formula propusa la Costantinopol nu rezolva problema diferentei mai bine,
decât formula Pontificelui Gregoriu XIII [.].", V. Macaveu, "Chestiunea
calendarului", Cultura Crestina" 12 (1923), 9: 225-226.].
La Chiesa ortodossa, invece, insistette sul fatto che nel 1923 era stato
semplicemente corretto il vecchio calendario giuliano.
"Biserica Ortodoxa Româna" riportò che tutti i partecipanti alla
Conferenza di Costantinopoli si erano trovati d'accordo nel dire che la
riforma non consisteva nell'accettazione del calendario gregoriano, perché
anch'esso era errato. Nel testo del preambolo alla decisione della
Conferenza si legge:
"La conferenza interortodossa, riunita a Costantinopoli nel mese di Maggio
1923, sotto la presidenza di Sua Santità il Patriarca ecumenico Melezio IV,
riconoscendo che il livellamento tra il calendario religioso e quello civile
è una necessità improrogabile e che non c'è nessun impedimento canonico per
correggere il calendario ecclesiastico secondo i dati della scienza
astronomica, decide la seguente riforma del calendario giuliano [.] " [nota
15: "Conferenta interortodoxa, întrunita la Constantinopol în luna Mai 1923,
sub prezidenta Sanctitatii Sale Patriarhului ecumenic Meletie IV,
recunoscând ca nivelarea deosebirii dintre calendarul religios si calendarul
civil este o trebuinta de neînlaturat si ca nu este nicio împedecare
canonica pentru a îndrepta calendarul bisericesc întrebuintat dupa datele
stiintei astronomice, hotaraste urmatoarea îndreptare a calendarului iulian
[.]", Arhim. Scriban, "Conferenta interortodoxa din Constantinopol",
Biserica Ortodoxa Româna 41 (1923), 9: 662.].
Gli ortodossi romeni, ripeterono in numerose occasioni che il calendario del
1923 non era una nuova versione del calendario gregoriano. Nella relazione
presentata al S. Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena si legge:
"[.] La Chiesa Ortodossa d'Oriente ha convenuto in fine, che non si
sostituisca, ma solo si revisioni e si corregga il suo calendario giuliano
[.]" [nota 16: "[.] Biserica ortodoxa de Rasarit a convenit, în cele din
urma, nu sa se înlocueasca, ci numai sa-si revizuiasca si sa-si îndrepteze
calendarul ei Julian [.]". T. Simedrea, "Referat", Biserica Ortodoxa Româna"
42 (1924), 1: 33.].
E Vartolomei nel suo rapporto spiegò che la Conferenza aveva deciso alcuni
cambiamenti per correggere il ritardo del calendario e rifare le tabelle per
stabilire la data di Pasqua, ma non aveva modificato la struttura del
calendario; e aggiunge:
"Questa revisione, quindi, non viola nessun dogma, non abolisce nessuna
regola canonica della nostra Santa Chiesa di Oriente, e ciò che è più
importante, non assorbe il nostro calendario giuliano in quello gregoriano,
ma vi si unisce solo nel campo civile, attraverso l'abolizione dei 13
giorni, per sciogliersi da esso in ciò che riguarda le modalità di
correzione nel futuro delle sue disparità con quello astronomico e
analogalmente in ciò che riguarda il culto, la collocazione dei Santi e
chiaramente il modo di calcolo della festa di Pasqua. All'infuori
dell'elemento
civile dei 13 giorni, il calendario giuliano corretto, non ha in comune con
quello gregoriano che le feste importanti, che cadono sia nell'uno che
nell'altro
a date fisse [.]" [nota 17: "Revizuirea aceasta prin urmare nu vatama nicio
dogma, nu desfiinteaza nicio rânduiala canonica a Sf. noastre Biserici
Ortodoxe de Rasarit, si ceeace e si mai mult, nici nu ne absoarbe calendarul
Iulian ortodox în cel Gregorian, ci se uneste cu el numai pe tarâmul civil,
prin lepadarea celor 13 zile, spre a se desface de el în ce priveste modul
de corectare în viitor, al nepotrivirii sale cu cel astronomic, în ce
priveste de asemenea cultul, încadrarea sfintilor si chiar modul de
calculare al serbarii Pastilor. În afara de elementul civil al celor 13
zile, calendarul Iulian îndreptat, nu mai are comun cu cel gregorian decât
sarbatorile mari, care cad si în unul si în altul la date fixe [...]". T.
Simedrea, "Referat", Biserica Ortodoxa Româna: 34-35.].
Nell'articolo in cui venne riportata la decisione della conferenza si fece
questa osservazione:
"Il nuovo calendario è più preciso[.] del calendario gregoriano, la cui
media dell'anno si differenzia da 24 a 26 secondi dall'anno tropico. Questa
osservazione non deve essere interpretata come segno di disprezzo del
calendario gregoriano" [nota 18: "Noul calendar este, [.], mai precis decât
calendarul gregorian, a carui data mijlocie a anului se deosebeste cu 24
pâna la 26 secunde de cea a anului tropic. Aceasta observare nu trebuie
interpretata ca o depreciare a calendarului gregorian.", Arhim. Scriban,
"Conferenta interortodoxa din Constantinopol", Biserica Ortodoxa Româna 41
(1923), 1: 662.].
In un altro articolo di Biserica Ortodoxa Româna del 1923, in cui si trattò
delle possibili formule di riforma del calendario, Scriban scrisse che il
calendario gregoriano con il suo canone pasquale non potevano essere
accettato perché:
"[.] la sostituzione del calendario giuliano con quello gregoriano non
soddisfa pienamente tutte le condizioni richieste dal punto di vista
ecclesiastico, scientifico e pratico. E' vero che, da un punto di vista
scientifico, il calendario gregoriano è più preciso di quello giuliano. Con
tutto questo neanche lui ha una precisione perfetta. Ha anche esso i suoi
errori, specialmente in confronto con altri più precise, e da qui il
desiderio di avere un calendario più preciso e di una riforma del calendario
più completa" [nota 19: "[.] Înlocuirea calendarului iulian prin cel
gregorian nu îndeplineste toate conditiunile cerute din punct de vedere
bisericesc, stiintific, si practic. E adevarat ca, din punct de vedere
stiintific, calendarul gregorian e mai precis decât cel iulian. Cu toate
acestea nici el n'are o preciziune desavârsita. Îsi are si el greselile lui,
mai cu seama în comparatiune cu altele desavârsite, si de aici dorinta de
avea un calendar mai precis si o reforma a calendarului mai deplina.",
Arhim. Scriban, "Chestiunea Calendarului în Biserica Ortodoxa", Biserica
Ortodoxa Româna 41 (1923), 8: 561.].
Sempre lo Scriban, che seguì in prima persona tutta la vicenda della riforma
calendaristica, commentando un articolo della "Gazzetta del popolo" di
Torino che si intitolava La Chiesa ortodossa di Romania recepisce il
calendario gregoriano, disse che il corrispondente non era stato informato
bene.
Un'altra differenza tra il calendario adottato nel 1923-1924 e quello
gregoriano è la regola con cui viene fissata la Pasqua.
Gli uniti romeni avevano sperato, negli anni della riforma, che si arrivasse
a un accordo tra le Chiese che permettesse a tutti i cristiani di
festeggiare la Pasqua insieme, purtroppo - come scrisse anche "Unirea" [nota
20: "Noul calendar în biserica noastra", Unirea, 13-9-1924, n. 37.] -
l'accordo
non si verificò; la Chiesa greco-cattolica, si attenne comunque fedelmente
alla linea della piena adesione alle scelte della conferenza di
Costantinopoli e del S. Sinodo di Romania.
La scelta degli uniti di adeguarsi in tutto al calendario della Chiesa
ortodossa fu dettata dal desiderio di una maggiore unità tra la popolazione
del nuovo regno e dal desiderio di un avvicinamento tra Chiese romene. Però
il nuovo calendario venne accolto con gioia anche perché, essendo vicino al
gregoriano, avrebbe permesso di festeggiare le feste a data fissa negli
stessi giorni della Chiesa latina. Il calendario del '23 rappresentò in
effetti un avvicinamento agli usi occidentali, come venne chiaramente
esposto durante la riunione del 25 luglio 1923:
"[.] Dopo che il calendario gregoriano è stato adottato anche nella vita
civile dello Stato romeno mi sembra, che sarebbe contrario a tutte le
tradizioni di progresso, di avanzamento, di occidentalizzazione e di
ammodernamento, della nostra Chiesa unita, se non affrettassimo, da parte
nostra, l'abbandono del calendario giuliano, al fine di porre il nostro
popolo, anche per quanto riguarda i giorni delle sue festività, nel
consesso di tutti i popoli di Occidente e per realizzare, in questo modo, il
desiderio espresso anche dal Concilio di Nicea, di vedere tutti i cristiani
celebrare insieme i giorni delle feste ecclesiastiche" [nota 21: "[.]
Dupa-ce Calendarul Gregorian a fost adoptat si în viata civila a Statului
român mi-se pare, ca ar fi contrar tuturor traditiilor de progres, de
avansare, de occidentalizare si modernizare, ale bisericii noastre unite,
daca nu am grabi, din partea noastra, abandonarea Calendarul Iulian, pentru
a pune poporul nostru, si în cât priveste zilele lui de praznic, în
ensemblul tuturor popoarelor din Apus, si pentru a realiza, în acest chip,
dorinta exprimata înca de Conciliul din Niceea, de a se vedea toti crestinii
serbatorind deodata zilele de praznic bisericesc." V. Macaveu, "Chestiunea
calendarului", Cultura Crestina 12 (1923), 9: 223-224.].
Questo tipo di considerazioni non erano certo nuove, infatti in opposizione
ad esse già nel 1919 Remer-Anselm scrisse che il cambiamento di calendario
non era una questione, né di cultura, né di avvicinamento all'Occidente, e
aggiunse:
"Comunque di cose occidentali noi ne abbiamo molte, ma lo spirito non è
occidentale. Sono meno occidentali gli Inglesi perché non adottano il
sistema metrico e monetario francese? Quindi il progresso nella questione
del calendario è un illusione con la quale copriamo i nostri peccati" [nota
22: "Doar lucruri apusene avem noi multe, dar sufletul nu ne este apusean.
Sunt mai putin apuseni Englejii, fiindca nu adopta sistemul metric si
monetar francez? Deci progresul pe chestiunea calendarului e o iluziune cu
care acoperim pacatele noastre." I. Remer-Anselm, Despre Calendarele
crestine si unificarea lor, Bucarest, 1919; Arhim. Scriban, "Românii care au
scris despre calendar", Biserica Ortodoxa Româna 42 (1924), 9: 528.].
Il tema di un occidentalizzazione del Paese costituiva, all'epoca, uno degli
argomenti chiave del dibattito politico ed economico del Regno di Romania;
il termine "occidente" era sinonimo di sviluppo e di progresso. La Chiesa
unita sfruttava questo tipo di idee per rivendicare la legittimità della sua
esistenza e la sua importanza per il Paese.
Questo atteggiamento, insieme al desiderio naturale di un avvicinamento alla
Chiesa latina, probabilmente influì sul pensiero di coloro che
interpretarono il nuovo calendario ecclesiastico come una variante di quello
gregoriano. Mentre alcuni ortodossi, pur coscienti della somiglianza tra il
sistema di calcolo del tempo del nuovo calendario ecclesiastico con quello
occidentale, insistettero molto sugli aspetti di diversità dell'uno rispetto
all'altro. Questo fecero sia per rispetto alla tradizione, che rendeva
preferibile parlare di vecchio calendario modificato, sia per non dare adito
alla Chiesa occidentale e a quella unita di rivendicare una superiorità in
questo campo.
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e ricerca umanistica 4 (2002), edited by Serban Marin, Rudolf Dinu and Ion
Bulei, Venice, 2002
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© Serban Marin, August 2002, Bucharest, Romania